Tra due calendari

Paola Pisano racconta con toccante delicatezza la sua infanzia in un quartiere operaio argentino e riflette sul valore della Festa del Lavoro, ricordando le lotte sindacali dimenticate, la dignità dei lavoratori e l’assenza di memoria nei contesti moderni, come il Texas di oggi.

Tra due calendari

 

Prima di ascoltare Paola

C’è una magia in queste parole che attraversano gli oceani: arrivano come carezza, come un filo invisibile che lega chi scrive a chi legge. E quando a tenderlo è Paola – capace di trasformare la memoria in poesia e la cortesia in un atto rivoluzionario – quel filo diventa un ponte tra mondi.

Questo mese, da Austin in Texas ci regala un racconto che è radice e ali insieme. Un articolo che arriva a maggio, mese della Festa del Lavoro, e ci ricorda perché questa data non è un semplice asterisco sul calendario, ma un respiro collettivo. Le sue parole ci parlano di fabbriche e famiglia, di silenzi americani e di un’Argentina che ancora grida nei suoi ricordi.

Leggerlo è come entrare in una casa dove ogni oggetto ha un’anima: le sirene che segnavano i turni di lavoro, le mani dei genitori che confezionavano dignità, il profumo di menta chimica che si mescola all’orgoglio operaio. Paola non scrive: custodisce. E in questa storia personale, che è anche universale, c’è un monito delicato e potente: celebrare il Primo Maggio significa onorare chi ha lottato per noi, ricordando che ogni diritto conquistato è un ponte verso il futuro, soprattutto dove quel giorno passa in silenzio.

Lasciatevi guidare dalla sua voce. Perché in un’epoca che prova a svuotare il lavoro di significato, Paola ci ricorda che dietro ogni diritto c’è una storia di coraggio, volti, sudore, e qualcosa di sacro: la speranza che nessun sacrificio vada dimenticato.

— Grazie, Paola, per regalarci sempre non solo parole, ma luce. —

Ora tocca a voi lasciarvi trasportare dalle sue parole, come onde gentili che vi portano verso un luogo fatto di memoria e futuro.

                                                                                                                                                       Alfio Mirone

 

Tra due calendari

Il mio primo calendario era fatto di sirene, non di mesi. Era fatto di un suono: quello che annunciava il cambio turno nella fabbrica dove lavoravano i miei genitori. Quel suono era più preciso di qualsiasi orologio: divideva le giornate e annunciava che presto avrei rivisto i miei. Io stavo nell’asilo aziendale all’interno della fabbrica, dove passavo le mie giornate. L’odore di menta chimica, il rumore costante dei macchinari, le mani stanche e precise dei miei, che confezionavano sorrisi in tubetti di dentifricio: questa era la mia infanzia fino ai miei cinque anni, Vivevamo nel Barrio Obrero, il quartiere operaio. Per me, la Festa del Lavoro è sempre stata una realtà. Una storia familiare.

A Buenos Aires, dove sono nata, il Primo Maggio è festa grande. Si ricordano quelli che non si sono mai fermati, anche quando nessuno li guardava. Ma in Texas, dove vivo da ventiquattro anni, quel giorno passa sotto silenzio. È un giorno qualsiasi.

Negli Stati Uniti, si celebra il “Labor Day” il primo lunedì di settembre. Ma la vera storia della Festa del Lavoro inizia a Chicago, nel 1886. Operai in sciopero chiedevano qualcosa che oggi diamo per scontato: lavorare solo otto ore al giorno. Una protesta pacifica che si trasformò in tragedia, con morti tra agenti e civili. Quel sangue lasciò un segno, e da lì nacque il Primo Maggio. E allora perché, proprio qui negli Stati Uniti, dove tutto è successo, non si festeggia in maggio? Questa scelta non è casuale, né innocente. La risposta è semplice: si scelse una data diversa per evitare di legarla ai movimenti socialisti, anarchici e sindacali. Per depoliticizzare il lavoro, e per trasformare un giorno basato nella lotta di diritti in un’occasione neutra, festosa, commerciale, di finale d’estate, da pubblicità di supermercato, da barbecue in giardino.

Quando si smette di ricordare perché si lotta, è facile dimenticare cosa si perde. E da lì, a togliere diritti, il passo è breve. In Texas, ad esempio, se lavori per lo Stato non puoi scioperare. Non puoi organizzarti. Il Texas lo vieta esplicitamente. Ma oggi non è solo una questione locale: all’inizio del 2025, il presidente Trump ha firmato un ordine esecutivo che ha indebolito gravemente la rappresentanza sindacale nei settori pubblici federali. In questo clima di limitazioni legali e di politiche federali restrittive sembra difficile per i dipendenti pubblici, specialmente in Texas, organizzarsi o anche solo esprimere preoccupazioni riguardo alle condizioni lavorative.

Davanti a questa realtà, il ricordo dei miei diventa ancora più prezioso, più urgente. Loro erano tra quelli che si organizzavano, che parlavano, che resistevano, in tempi pericolosi, in un’Argentina che non permetteva di lottare apertamente; loro lottavano per difendere la dignità del lavoro.

Per questo, anche ora che vivo lontano, anche ora che il mio lavoro è completamente diverso al di là di quello che loro facevano, non riesco a pensare al Primo Maggio come a un giorno qualsiasi. Festeggio il Primo Maggio perché il mio calendario è fatto di memoria. Perché ogni parola che scrivo è, in fondo, un atto di riconoscenza verso loro. Vivere e lavorare in un posto che non celebra il Primo Maggio rende ancora più urgente ricordarlo, celebrarlo, difenderlo. E io continuo a farlo. Una parola alla volta.