In punta di strada – VI capitolo

Nel Capitolo 6 del romanzo, Annabelle affronta un imprevisto che mette a rischio la sua fragile libertà: l'auto del padre di Serena si guasta, e il rientro a casa è compromesso. In preda al panico, Annabelle teme la reazione del padre, ma trova conforto nel gesto gentile di Franco, che si offre di accompagnarla. La serata prende una piega inaspettata, tra emozioni adolescenziali, primi batticuori e nuove connessioni. Al ritorno a casa, però, la realtà si impone con durezza: la ragazza si rifugia nei social per cercare un contatto sincero con Franco, ma viene interrotta dal ritorno improvviso del padre. Il giorno dopo, un evento improvviso irrompe come una tempesta, lasciando il lettore sospeso su un finale carico di tensione emotiva.

In punta di strada – VI capitolo

In punta di strada – VI capitolo

Capitolo 6

Annabelle si preoccupò. Un senso di smarrimento e ansia si fecero strada in lei.
«Papà ha avuto un problema con la macchina. Non riuscirà a raggiungerci e quindi a riportarci. Dobbiamo trovare una soluzione.» disse la sua amica.
La ragazza cominciò a sudare freddo e a respirare a singhiozzi; non poteva essere vero. Il padre l’avrebbe distrutta mentalmente e non avrebbe mai creduto a quelle parole, anche se vere.
Le avrebbe dato la giusta punizione e avrebbe detto addio per sempre alla possibilità di una speranzosa vita normale. Una mano calda e rassicurante si posò sulla sua spalla, cancellando ogni traccia di preoccupazione dal suo corpo; sentì lo sguardo di Franco bruciare su di lei.
«Vi riportiamo noi.»
Disse egli teneramente.
Lei sorrise e arrossì. Ma subito un moto di vergogna si impossessò nuovamente di lei. L’avrebbero presa per una bambina. Quale adolescente deve essere dentro casa entro e non oltre le undici di sera con il rischio di ricevere una punizione da papino? Nessuno, pensò lei. Ma Serena parlò per lei.
«Grazie mille. Ma il padre di Anny è molto all’antica, è un miracolo che sia qui. Entro le 23 dovrà essere dentro casa sua, e noi non vorremmo disturbarvi o rovinarvi la serata.» concluse lei.
La ragazza sospirò: Serena le aveva rubato le parole di bocca; parole bloccate nel suo petto che non sarebbe mai riuscita a pronunciare.

Il timore di essere giudicata ancora una volta la inghiottì violentemente e il pensiero che Franco, soprattutto dopo l’alchimia che si era creata tra loro, la ritenesse una bambina, una sfigata, le fece scendere una lacrima amara, dolorosa.
Ma come se lui le avesse letto nel pensiero, le avvolse il braccio intorno al collo, riservandole un bellissimo sorriso.

«Nessun problema, davvero.
Cenerentola sarà a casa all’ora stabilita!»

Annabelle perse un battito e cominciò a tremare dall’emozione. La vicinanza con Franco le provocò una sensazione di casa come non aveva mai provato; si voltò leggermente verso di lui e i loro sguardi si incastrarono nuovamente, provocando un’altra potente scarica nell’aria.
Poco dopo, i ragazzi si dedicarono al gelato perso inizialmente e, tra una chiacchiera e l’altra, i due si riservarono continue fugaci occhiate, sempre più potenti, più dolci; sopraggiunta l’ora fatidica, raggiunsero finalmente l’auto e ne salirono a bordo: la parte dietro venne occupata da Annabelle, che si mise in braccio ad Anna, Serena al lato sinistro e Franco al centro. Uno dei ragazzi, il guidatore dell’auto, si mise al comando del volante, l’amico affianco; mentre l’altro ragazzo rimase d’accordo di aspettarli in piazza al loro ritorno.
Il viaggio in macchina passò quasi troppo velocemente e, ad un tratto, una battuta fece ridere serenamente e di gusto Annabelle: Franco si voltò a guardarla estasiato e a lei non fuggì, creandole una moltitudine di farfalle nello stomaco pronte a divorarle tutto.

Una volta raggiunta la meta, ella scese timidamente dall’auto salutando e ringraziando tutti; ma Franco la fermò per qualche minuto, riservandole due baci sulla guancia, ai quali lei si sciolse.
«Anny, se posso chiamarti anche io così, se mai ti andrà aggiungimi su Facebook. Vorrei davvero riparlare con te… e magari rivederti. Mi sono divertito e sono stato davvero bene.» Disse sinceramente lui, riservandole un dolcissimo sorriso.
A lei sembrò mancare il pavimento sotto i piedi; arrossì, tremando leggermente. Le parole le si soffocarono in bocca; incapace di esprimere qualsiasi suono.
«Lo prendo per un sì… o un vedremo?» Disse lui ridendo appena.
Pochi secondi dopo riuscì a rispondergli. «S-sì… anche io sono stata bene.»
«Bene. Buonanotte, Anny.»
Concluse lui, dandole un altro bacio sulla guancia.
Rimase lì ferma, impalata, a guardare l’auto sfrecciare via; con il cuore che le batteva a mille e l’euforia di una bambina piccola.
Solo pochi secondi dopo si ricordò di indossare ancora il vestitino con i tacchi proibiti e cominciò ad agitarsi ed a pensare a come avrebbe potuto risolvere; ad interromperla dalle sue emozioni, però, ci pensò il suo cellulare che prese a squillare. Tremò pensando fosse il padre e si accinse a recuperarlo di fretta dalla borsa.

Notò con piacere e gran sollievo che il mittente di quella chiamata era la madre; così rispose serena.
«Mami, dimmi.»
«Tesoro, dove sei? Papà è uscito e mi ha chiesto di chiamarlo quando saresti rientrata.»
«Sono qui sotto, salgo subito.»
«Va bene.»
Ella staccò la chiamata e si affrettò a rientrare.
Una volta richiusa la porta dietro di lei, la madre l’accolse con un abbraccio, dirigendosi poi verso il proprio cellulare per riferire al padre il suo rientro.
In quel momento si sentì nuovamente in trappola, come un bersaglio vivente, e un moto di rabbia le percorse il corpo: sarebbe stata sempre una marionetta controllata da fili; plasmata solo a seguire ordini e a doversi vergognare nel sognare per un po’ di libertà. Violente lacrime le uscirono incontrollate; scappò nella sua camera, desiderosa solo di chiudere gli occhi e tornare a respirare.
Raggiunse con timore il suo letto e si rannicchiò su se stessa, consumando tutte le lacrime che il suo corpo poteva produrre; si fece poi forza e si rialzò: doveva cambiarsi e doveva farlo in fretta.
Così si accinse a raggiungere il bagno, rimuovendo tutto il trucco; si cambiò infilandosi il pigiama, raccogliendo i suoi capelli corvini in un disordinato chignon, e si diresse nuovamente in camera sua.
Richiuse la porta e, nel breve tragitto verso il suo letto, buttò l’occhio sul portatile poggiato sulla piccola scrivania; un’irrefrenabile voglia di contattare Franco e parlare un po’ con lui le salì fin dentro le ossa: un bisogno di sentirsi al sicuro.

Ciò provocò in lei il pensiero di come, con solo poche ore e pochi sguardi, lui l’avesse capita; il senso di conoscerlo da una vita intera. Si concesse di esaudire questo suo capriccio e, accomodandosi sulla sedia, accese il computer e aprì Facebook.
Digitò il nome del ragazzo, trovandolo quasi subito, e lo aggiunse agli amici; speranzosa che lui fosse già online e potesse parlare con lei.
Passarono due interminabili minuti e Franco accettò la sua richiesta; ella non gli scrisse, ma anzi spulciò il suo profilo, curiosa.
Ad ogni foto o post ella sorrise: il senso di libertà che sembrava mostrare accese in lei il desiderio di poter essere ancora di più come loro; sembrava così spensierato e felice.
Prendendo poi un coraggio unico, decise di lasciargli qualche ‘mi piace’ qua e là.
Subito Franco le scrisse e lei non poté crederci: che anche lui avesse sentito il bisogno di sentirla? Parlarle?
Così, in preda all’euforia totale, aprì la chat:
«Buonasera Anny. Noto con piacere che mi hai trovato. Sei un’ottima detective.» affermò lui.
Ella sorrise, sorrise tanto. E solo qualche minuto dopo prese a rispondergli.
«La migliore!»
Rimase qualche secondo in attesa, presa da un’ansia indescrivibile, e non appena egli le rispose iniziarono a parlare ininterrottamente.
«Puoi giurarci! Allora, visto la serata movimentata, non abbiamo avuto molto tempo o modo per conoscerci un po’ di più. Posso chiederti, con i soliti cliché, quanti anni hai?»
«Hai ragione, ti ringrazio ancora. E ci tengo anche a scusarmi per averti rovinato la serata. Comunque ne ho 18, compiuti da poco.»

«Non devi. L’ho fatto con piacere. E comunque posso capire cosa voglia dire non avere libertà di sé stessi, avere regole e via dicendo… davvero, tranquilla. Ne ho quasi 19.»
Quelle parole lasciarono Annabelle perplessa. Forse le sue foto non raccontavano la verità della sua vita; forse era una facciata di speranza anche per lui. Si morse il labbro inferiore, prendendosi qualche minuto a pensare su cosa potesse rispondergli. Non poteva chiedergli una cosa così intima e, dopo poco, digitò la sua risposta.
«Ehm… d’accordo.»
«Ci hai messo molto a rispondere. Tutto bene?»
La domanda in questione la spiazzò: avrebbe dovuto chiedergli di lui? Confessargli di lei?
Un successivo sbattere di una porta la riportò alla realtà: il padre era rientrato e non poteva farsi trovare lì; così spense velocemente la luce ed il computer, senza avvisare Franco, e si buttò sotto le coperte, immergendosi fino alla testa.
Come previsto, il padre entrò irruente in camera sua a controllare la situazione; rimase qualche minuto lì, poté sentirlo, come se aspettasse una sua mossa falsa. Non fece nulla, non disse nulla, ma anzi uscì dalla stanza anche troppo tranquillamente.
Ma un senso di nausea e preoccupazione presero comunque posto in essa; qualcosa sarebbe successa domani, se lo sentiva. Provò ad ignorare il tutto e, chiudendo leggermente gli occhi, si addormentò.

L’indomani la sveglia risuonò per tutta la stanza, strappandola dal suo sonno, e non appena allungò il braccio per spegnerla si accorse all’improvviso di come avesse dormito serena. Senza sogni o incubi.
Senza strane sensazioni al petto o tremolii vari. Sorrise. Pensò subito che la causa di questo suo benessere potesse dipendere solo dal dolce e misterioso ragazzo con cui aveva parlato la sera precedente; ma subito si ricordò di come fosse sparita in malomodo con Franco e, sbadigliando leggermente, si mise a sedere con l’intenzione di scrivergli quanto più in fretta possibile.
Infilò le sue pantofole ed uscì lentamente dalla camera in direzione della famiglia già presente in sala; suo padre era assente a causa del lavoro e ciò la rese ancora più tranquilla riguardo alla sensazione di ieri sera. Non appena la sua colazione fu pronta, addentò il succulento cornetto alla crema che il padre aveva riportato quella mattina sul presto, una tradizione solita del padre la domenica che lei adorava più di ogni altra cosa, e sorseggiò il caldo tè preparatole dalla madre.
Tutto sembrava filare liscio in quel momento, fin quando, sbattendo violentemente la porta, il padre fece il suo ingresso: la rabbia aveva preso interamente la sua figura e, dalla sua espressione, doveva essere qualcosa che aveva veramente sconvolto l’uomo.
«Tu!» disse rivolgendosi alla figlia.
Annabelle tremò subito, spaventata di ciò che potesse essere successo, e di come la sua sensazione ieri fosse così vera.
E poi, un secondo, un battito di ciglia, e successe…