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In punta di strada – IV capitolo
In punta di strada – IV capitolo
I Capitolo – II Capitolo – III Capitolo
IV Capitolo
Le arrivarono come mille frecce infuocate che con successo avevano centrato il bersaglio e l’avevano reso un cumolo di cenere. I suoi occhi cominciarono a pizzicare e l’oggetto elettronico, che poco prima l’aveva fatta sorridere, era ancora stretto tra le sue mani; sapeva bene che avrebbe dovuto liberarsene prima possibile per non peggiorare ulteriormente la situazione. Così, in preda al panico, lo lanciò sul verde piumone che racchiudeva il letto e tornò a concentrarsi sui libri rivelandosi però inutile poiché le urla continuarono e quelle parole le rimbombarono in testa a ripetizione come una crudele sinfonia.
«Ti spacco la testa. Vi mando tutti fuori. Vuoi vedere? Perché mi devi far arrabbiare così, perché?.»
«Mi spacco la schiena per voi e non posso essere tranquillo in casa mia! Mi avete stufato!» Continuò ancora. In quel momento desiderò solo scappare: rifugiarsi sotto le coperte e sperare che fosse già notte per salvarsi. Ma tutto ciò rimase solo un debole capriccio racchiuso nel suo cuore ed il conseguente frastuono di oggetti lanciati in punti diversi della stanza la fecero tremare; tentò di rimanere tranquillamente seduta sulla sua sedia, come fosse una foglia in bilico sul ramo che tenta di salvarsi dalle forti raffiche di vento che vogliono crudelmente strapparla via, ma fu un tentativo vano. E così, con grande fatica, si fece coraggio prendendo un grandissimo respiro ed uscì lentamente in direzione del salone dove ad attenderla ci furono scenari ingiusti: frammenti di vetri rotti sparsi ovunque, la madre scossa poggiata contro il vecchio stipite bianco, il padre impegnato a gettare oggetti ovunque con fare feroce ed il fratello poggiato sulla finestra racchiuso da un’aura mista di rabbia e paura. Non capì cosa fosse successo, non capì il motivo da cui scaturì tutto ciò, ma non era una novità, nulla aveva senso in quella casa e così non si permise di dire nulla, non ci sarebbe riuscita, rimase semplicemente li a guardare il caos che la circondava, come un telespettatore alle prese con una visione di un film horror. Ad un certo punto, come fossero arrivati i titoli di coda e le luci nella sala si fossero riaccese, il padre si fermò: un impeto rabbioso gli attraversò il viso e subito corse verso la madre spingendola ancor di più verso il muro riservandogli parole ed ordini cupi. Le disse che avrebbe avuto poco tempo per ripulire il tutto, che non si sarebbe dovuto ripetere, che sarebbe andato a riposare per le successive ore e che non avrebbero dovuto disturbarlo. Sorpassò ferocemente la moglie con l’intento di dirigersi verso la sua camera, urtando successivamente fortemente la spalla della ragazza, facendola barcollare leggermente; egli non si fermò e continuò dritto per la sua strada lasciandola li immobile strappata della sua voce e di ogni sua volontà fisica. La madre si guardò intorno assente e poi sospirò; un sospiro pesante carico di tensione, tristezza e rabbia, che sembrava volesse prender vita e risucchiare via tutto e questa sensazione provocò in Annabelle una scarica intensa di brividi che la lasciarono senza fiato. Alzò lo sguardo verso la madre e cercò di scavarla all’interno come a voler guarire le sue ferite; ma ella le sorrise di rimando e le riservò uno sguardo confortante, voltandosi poi verso il mobile e scomparendo nel balcone intenta a fumarsi una sigaretta. Annabelle pensò che quello fosse il suo modo di rifugiarsi un po’ nel suo mondo sicuro, e così, non andò da lei, ma anzi, si accinse a sistemare il caos che poco prima era scoppiato; mentre il fratello rimase impassibile alla scena, ancora intento a guardare il suolo, poi un colpo sulla finestra e la sua figura scomparì uscendo di casa. Lo guardò varcare la soglia della porta sconfortata e continuò a sistemare; ogni tanto si concesse di osservare sua madre che rimase quella che sembrò un’eternità lì fuori poggiata sul balcone, guardando verso il cielo mentre ad ogni tiro la mano tremava sempre di più più. Una volta terminato, la ragazza si diresse nuovamente nella sua stanza, determinata più che mai a completare i suoi esercizi, in modo da cancellare ogni traccia di ciò che fosse successo poco prima. Le ore passarono velocemente, fuori diventava sempre più scuro e lei sembrò prendere sempre più calore; pervasa da una sensazione di pura calma terminò l’ultimo esercizio serenamente e ripose tutto all’interno nel suo zaino. Il successivo rumore dei passi e l’aprirsi di una porta rieccheggiarono nell’aria segnando il risveglio del padre; che lentamente si allontanò verso il salone. Lei rimase calma, quello era il momento in cui il padre era solito essere più tranquillo, e si concesse di controllare il cellulare per qualche minuto prima di avviarsi, anch’essa, dai suoi genitori; notò con piacere che la sua amica le avesse scritto ancora e ciò che lesse le scaldò il cuore, facendola sorridere genuinamente.
«Sono contenta! Se ti sarà possibile potrai venire prima a casa mia, così pranziamo e ci prepariamo insieme!» Lesse quel messaggio più di qualche volta per convincersi che non fosse un sogno, pensando anche a cosa potesse dirle, e qualche minuto dopo digitò le sue parole.
«Mi farebbe tanto piacere. Parlerò con mio padre, se ricordi bene è molto severo, e ti farò sapere. Grazie mille Serena.» Rimase a fissare il testo per altro tempo, creandosi mille dubbi ed incertezze sulle parole usate o sull’impatto che avrebbe potuto dare alla sua amica; alla fine si arrese, cancellando ogni traccia di insicurezza, ed inviò ciò che aveva scritto. Ella si sentì bene: per la prima volta avrebbe potuto essere se stessa, con qualcuno che le voleva bene, fare le cose che normalmente i ragazzi della sua età dovrebbero fare e sentirsi…libera. Libertà. Una parola così bella, genuina. Avrebbe potuto solo dirla, forse comprenderne il contesto in frasi o situazioni, ma Annabelle non conosceva affatto il significato di questa parola. Come si può conoscere qualcosa che non si ha mai provato? Come si può descrivere, raccontarne la sensazione, comprenderne le essenze e farle proprie? Non si poteva; questo era ciò che pensava lei. Poteva sognarla, poteva desiderla, poteva sperare che un giorno, forse proprio quel giorno, avrebbe potuto averne un assaggio e forse capire anche solo lontanamente cosa significasse non essere imprigionata e vulnerabile. Poi le scattò un pensiero, come la molla di un gioco; forse da piccola era la bambina più libera, incorreggibile e solare del mondo: forse l’aveva conosciuta ed ora era intrappolata in qualche scatola del suo cervello; impossibilitata a manifestarsi. Già proprio come lei, pensò.
«Annabelle! Hai finito i compiti? È ora di cena!» La voce della madre la richiamò dai suoi pensieri e così, accantonando tutto, si diresse verso il salone trovando l’atmosfera totalmente differente: il caos che poche ore prima aveva regnato tra quelle pareti era stato spazzato via; il padre rideva e scherzava con la madre; il fratello giocava beatamente con il cellulare sul divano, circondato dalla loro cagnolina ed i suoi giochini; la TV accompagnava sonoramente la situazione con della musica movimentata ed Annabelle non potè fare a meno di come avesse voluto che questo momento potesse durare per sempre. Una volta terminato le preparazioni, l’apparecchio, la cena, e lo sparecchio, decise che forse era meglio chiedere in quel momento al padre il permesso per quella giornata; subito pensò a come un’altra volta la sua felicità, la sua vita, dipendessero costantemente ed incessantemente dal padre. Sospirò e prese coraggio di sé stessa, sedendosi affianco al padre: egli guardava fermo la televisione; lei prese a torturarsi le dita, ed emise un piccolo colpo di tosse; il padre mosse appena lo sguardo verso di lei, che subito si senti inghiottita dal timore e dall’ansia.
«Papà ecco….. Ehm….. ti ricordi Serena, no? La mia amica di pallavolo….. ecco….. l’ho incontrata a scuola dopo tutto questo tempo e…»
«E cosa? Arriva dritta al punto.» Disse lui. Ella tremò. Ma non si fece abbattere, non questa volta.
«E mi ha chiesto se mi andava di uscire sabato. E-ecco io sabato vorrei uscire con lei. E mi ha detto, se a te va bene papà, che potrei anche mangiare da lei. Ci saranno i suoi genitori a pranzo, se vuoi parlare con loro.» Lo buttò fuori tutto d’un fiato. Osservò speranzosa il padre; intento a guardarla a sua volta racchiuso da un silenzio tombale e pensieri indecifrabili.
«Sai bene che non mi piace che tu vada a casa degli altri. Tantomeno mi piace che tu disturba i suoi genitori. Sull’uscita sai anche che non sono d’accordo tu esca il sabato, perché è pieno di casino la fuori. »
Rispose lui. Ella provò a replicare, cercando di persuaderlo, ma egli la interruppe prima.
«Fammi parlare con suo padre e vedremo. Ma sappi che se deciderò di lasciarti andare, alle 21 dovrai essere dentro casa, già col pigiama, altrimenti avremo un problema.» Concluse lui. Sembrò strano, ma lei ne fu contenta. I suoi erano sempre dei no categorici. Forse c’era una piccola speranza. Scattò in piedi dalla sedia e gli rivolse un sorriso.
«D’accordo, grazie papà.» E come fosse una bimba, che ha appena ricevuto la sua caramella, saltellò fino alla sua camera. Un debole sorriso l’accompagnò per tutto il tempo che impiegò successivamente alla preparazione dello zaino, dei vestiti e della routine solita prima di andare a letto; infine si adagiò sul materasso coprendosi fin sopra la testa e chiuse lentamente gli occhi: finalmente avrebbe potuto essere al sicuro e sognare qualsiasi cosa volesse. I giorni scolastici successivi passarono più leggeri; i suoi compagni non le importavano più: voleva che sabato arrivasse il prima possibile; che la risposta di suo padre arrivasse prima possibile. E così, in un attimo, la ragazza arrivò a venerdì: un giorno importante. Suo padre e quello di Serena si ritrovarono fuori all’uscita della scuola con le due ragazze intenti a discutere sul da farsi della situazione. Ad ogni parola, sguardo o compromesso Annabelle incrociava le dite e guardava suo padre con un barlume scintillante di speranza. Alla fine della discussione i due si girarono verso le ragazze e fecero cenno di avvicinarsi; e così fecero.
«Potrai andare da Serena questo sabato. Parlando con Marco ho anche deciso di concederti il rientro alle 21:30 anziché alle 21, ma solo perché ti riporteranno loro.» Terminò il padre. Ella non potè credere alle sue orecchie, che ciò stesse succedendo davvero; così abbracciò calorosamente il padre che rimase sorpreso ma comunque impassibile. Quando si staccò da egli, si voltò verso Serena e suo padre.
«Grazie signor Marco per la sua ospitalità e grazie Serena ancora per l’invito.» I due le sorrisero e salutandosi tutti a vicenda ognuno fece ritorno verso casa propria. Annabelle si sentì come se avesse vinto una piccola gara di nuoto; finalmente avrebbe potuto avere un assaggio della sua età e di quel po’ di socialità che aveva bisogno. Quella mattina finalmente arrivò, ospitando con sé un tepore diverso: Annabelle fu contenta di abbandonare i suoi sogni, le sue coperte e di aprire gli occhi. Con un scatto pieno di energie si mise a sedere sul letto, controllando l’ora notò con piacere che il cellulare segnava le 9:00 in punto. Sorrise. Mancavano solo due ore al suo imminente incontro con Serena e solo due ore all’abbandono di quelle mura per il resto della giornata. Determinata più che mai abbandonò il materasso e si precipitò verso l’armadio: era ora dell’arduo compito nella scelta dei vestiti e dopo aver perso mezz’ora abbondante li davanti, tra un’indecisione e l’altra, fu pronta. Indossò dei semplici jeans, abbinando ad essi un maglione verde e delle scarpe bianche; preparò con sé un vestitino bianco con pallini neri e tacchi bianchi. Sapeva che il padre non le avrebbe permesso di indossarlo; così la nascose dentro la busta con un altro cambio e ripose tutto nello zaino. Passò il resto del tempo a preparare le cose mancanti ed una volta terminato si accinse a raggiungere la sala, dove ad attenderla c’era la madre seduta comodamente a sorseggiare del caffè.
«Tesoro buongiorno. Tutto bene?» Domandò lei.
«Buongiorno mamma. Tutto bene. Ma papà?» Chiese lei notando la sua assenza.
«È uscito a sbrigare delle cose. Mi ha detto che puoi prendere i 10 euro sul mobile quando vai. E mi raccomando, divertiti tesoro. »
Ella annuì sorridendo felicemente. Salutò poi la madre, raccolse tutte le sue cose, raggiunse la fermata degli autobus e attese che Serena e suo padre arrivassero. Una volta arrivati li salutò calorosamente, salì in macchina e cominciò a godendersi il viaggio: tra musica e chiacchiere, ella si sentì completamente rinata, si sentì importante. Non appena arrivarono a destinazione, Annabelle rimase completamente a bocca aperta… (continua…)