L’arroganza che trionfa e l’educazione che soccombe

Jannik Sinner, giovane campione di tennis, è un esempio di talento e gentilezza in un mondo dominato dall’arroganza. Il sistema sportivo, invece di tutelare, punisce senza empatia, mentre colleghi e organismi sportivi preferiscono attaccarlo piuttosto che difendere la giustizia. Il suo caso riflette una società che premia l’aggressività e ignora il valore della correttezza.

L’arroganza che trionfa e l’educazione che soccombe

L’arroganza che trionfa e l’educazione che soccombe

Il caso Sinner e il mondo che ci circonda

C’era una volta un ragazzo di montagna, semplice, gentile, con l’educazione di chi ha imparato a rispettare prima di pretendere. Jannik Sinner, il giovane che ha conquistato il tennis mondiale senza mai alzare la voce, senza mai spingere qualcuno fuori dal suo cammino con prepotenza. Un campione di talento, ma soprattutto un campione di esempio. Eppure, oggi, sembra che la sua figura venga piegata non dalla competizione, ma dall’arroganza che governa il nostro tempo.

Il mondo dello sport dovrebbe essere una palestra di valori, di sacrificio, di etica. Invece, quello che emerge da questa vicenda è la prova di un sistema che non tutela, ma giudica. Sinner non ha barato, non ha cercato scorciatoie. E se anche un errore fosse stato commesso, sarebbe stato infinitesimale, privo di reali conseguenze sulla sua performance. Ma la macchina della giustizia sportiva, più che applicare il buonsenso, ha scelto di schiacciarlo sotto il peso della sua inflessibilità. E mentre gli organismi di controllo mostrano i muscoli contro i più facili da colpire, chi davvero manipola e altera lo sport riesce a farla franca con cavilli e accordi segreti.

Poi ci sono loro, gli avvoltoi del tennis, quei colleghi che dovrebbero comprendere, che dovrebbero indignarsi contro un sistema sbagliato. E invece no. Loro attaccano, puntano il dito, quasi con gusto. Daniil Medvedev, Novak Djokovic e altri che hanno vissuto sulla loro pelle il peso del giudizio pubblico, ora si ergono a giudici supremi, incapaci di mostrare empatia. Perché? Perché Sinner è diverso. Sinner non urla, non sfida con sguardi sprezzanti, non usa la prepotenza come arma. Sinner è un’anomalia in un mondo dove l’arroganza viene premiata, dove chi si mostra più aggressivo e spietato ottiene rispetto e potere.

Viviamo in un’epoca in cui i leader più seguiti e rispettati sono spesso i più violenti e intransigenti. Guardiamo i capi di Stato: tra guerre inutili, genocidi e disprezzo per la diplomazia, l’aggressività sembra essere diventata una qualità. Il mondo non celebra più la bontà, la gentilezza, la correttezza. Al contrario, le percepisce come debolezza. Ed è per questo che Sinner dà fastidio: perché è una figura che smentisce questo paradigma. Non ha bisogno di atteggiarsi a guerriero per vincere. Non ha bisogno di imporsi con la forza per conquistare il rispetto.

E allora, che fine fanno i soldi che alimentano gli organismi sportivi? Non dovrebbero essere usati per proteggere gli atleti, per garantire equità, per costruire un sistema giusto? E invece sembrano diventati un mezzo per distruggere chiunque capiti sotto il loro mirino, alimentando una giustizia sportiva che, più che cercare la verità, sembra voler trovare capri espiatori.

Jannik Sinner non ha mai chiesto di essere un simbolo, ma oggi lo è. Rappresenta tutti quelli che credono che la semplicità, la bontà e il talento possano ancora esistere senza la necessità di trasformarsi in macchine spietate. Rappresenta tutti quelli che credono che la vera forza non sia nell’arroganza, ma nella costanza, nella determinazione e nel rispetto.

Forse il mondo non è pronto per un campione come lui. O forse è proprio di campioni così che il mondo ha disperatamente bisogno.