In punta di strada

"In punta di strada" è il primo romanzo a puntate di Carmela La Rocca, un viaggio emozionante che si svela ogni 15 giorni. Una storia di rinascita, incontri e scelte che cambiano il destino, da leggere con calma, assaporando ogni capitolo come un momento di riflessione e scoperta. Disponibile nel MAGAZINE di Ciociaria&Cucina e sul blog. Prossimo appuntamento: venerdì 22 febbraio.

In punta di strada

In punta di strada

Prefazione

Ci sono storie che non si limitano a essere lette, ma chiedono di essere vissute. Con “In punta di strada”, Carmela La Rocca ci regala un’esperienza narrativa unica: un romanzo a puntate che si svela lentamente, come un viaggio fatto di piccoli passi.

Ho conosciuto Carmela nel suo luogo di lavoro, un ambiente che sembrava già raccontare qualcosa di lei. In pochi incontri, senza conoscerci, è riuscita a trasmettermi un’empatia e una sensibilità rare. Era come se le sue parole, anche quelle non dette, avessero il potere di creare un legame immediato. È stato proprio questo che mi ha spinto a chiedergli se le piacesse scrivere. E il caso, o forse il destino, ha voluto che lei stesse già lavorando a un suo romanzo.

Capitolo dopo capitolo, Carmela ci invita a rallentare, a fermarci per assaporare le emozioni che prendono forma. “In punta di strada” è un mini romanzo a puntate, che ogni 15 giorni e, in alcune occasioni, ogni settimana, ci regalerà una nuova emozione, da gustare con calma, nell’attesa dolce di ciò che verrà. Forse è il primo esempio di narrativa costruito così, dove ogni episodio diventa l’occasione per rileggere e apprezzare la sensibilità delle parole dell’autrice, e proprio per questo si distingue come una piccola rivoluzione.

Seguiremo Annabelle, una donna capace di trasformare la sua fragilità in forza, affrontando scelte e incontri che cambieranno il suo cammino. Ogni capitolo non è solo una parte della sua storia, ma un frammento della nostra, uno specchio che riflette i nostri desideri, i nostri dubbi, le nostre speranze. Perché chi non ha mai desiderato scappare per ricominciare? O trovato conforto in un gesto semplice ma inaspettato?

Con una sensibilità rara, Carmela riesce a creare un dialogo intimo tra le sue parole e il lettore, trasformando ogni capitolo in un momento di riflessione. Questo non è un romanzo da divorare in una notte, ma un cammino da vivere, un invito a riscoprire il valore della lentezza e dell’attesa, in un mondo che ci spinge sempre verso l’immediatezza.

“In punta di strada” è più di una storia: è un’esperienza emozionante, profonda e universale, che ci accompagna con delicatezza lungo il cammino di Annabelle, ma anche nel nostro.

Grazie a Carmela La Rocca, che con la sua straordinaria sensibilità ha saputo trasformare una storia in un cammino da condividere, e grazie a voi, lettori, che sceglierete di seguirci in questa avventura. “In punta di strada” non è solo un romanzo: è una promessa, la promessa che ogni passo, anche il più piccolo, può portarci verso qualcosa di straordinario.

Ogni passo, anche il più piccolo, ha il potere di cambiarci.

                                                                                   Alfio Mirone

 

Introduzione

Dopo tanto tempo le raccontò di come avesse vissuto il suo passato: si sentiva costantemente un vaso che si rompeva e rimetteva a posto. La notte, con una rapidità violenta, veniva trascinata, inghiottita in una cupa bolla, dando vita a un loop quasi infinito: iniziava uno scontro amaro tra i pianti e i sorrisi. Puntualmente, le lacrime si abbattevano sui sorrisi, senza lasciargli scampo, fino a farli svanire, come non fossero mai nati, mai esistiti. E cadeva a pezzi, pezzi piccolissimi, senza le forze necessarie per poterli raccogliere. Si arrendeva, quasi dolcemente, alla sua punizione.

Ma poi, come uno schiaffo, arrivava la mattina. La bolla scoppiava e lei doveva trovarle, le forze, per rimettere tutto insieme. Prese del tempo per se stessa, guardando, quasi con vergogna, il suolo per minuti che sembravano interminabili. E poi eccola lì: la prima confessione della sua anima, dell’anima di Annabelle. La vera sofferenza di lei era l’arrivo del sole, che, sorgendo, imprigionava la luna. E in un secondo Annabelle veniva ributtata nel circolo vizioso da cui non riusciva più a scappare.

In punta di strada
In punta di strada

Primo capitolo

Quella sera le diede se stessa. Le narrò tutto, dall’inizio, dove tutto ebbe inizio. E lo fece cuore a cuore.

La sveglia risuonò fortemente per tutta la stanza, e il suono robotico che quel piccolo oggetto emise, così disperatamente, strappò violentemente Annabelle dal suo sonno. Quelle scarse ore di pura pace, che aveva accolto a braccia aperte solo poco tempo prima, l’abbandonarono crudelmente, lasciandola con una sensazione di smarrimento e vuoto indescrivibili.

Ella, infatti, non diede più peso all’incessante squillo e cominciò, invece, a giocherellare nervosamente con le mani. Il suo respiro si fece irregolare, il petto si alzava e si abbassava. Sapeva benissimo cosa stava succedendo.

E, come fosse un richiamo a voce alta, ecco che la vecchia porta in legno, in piedi ancora per miracolo, si aprì, sbattendo contro il muro bianco e riducendolo ancora più a pezzi di quanto non fosse già. Annabelle tremò ed una figura alta fece il suo ingresso, irrompendo nella stanza.

Lei chiuse gli occhi di scatto, cercò di calmare il suo respiro, facendo finta di essere ancora nella sua bolla sicura. Ma non appena quella voce, decisa e severa, si disperse nella stanza, Annabelle proprio non riuscì a ignorarla, e la consapevolezza prese possesso del suo cuore: non era nella sua bolla. Non era notte. Non era più al sicuro.

«Abbiamo deciso di dormire ancora per molto? O vogliamo alzarci per andare a scuola? Quella stupidissima sveglia sta suonando già da troppo tempo e tu sei ancora sotto le coperte? Ti do cinque minuti, signorina».

Lei sospirò silenziosamente, attenta a non farsi sentire. Con uno scatto felino e un pizzico di coraggio sconosciuto riaprì gli occhi, mettendosi a sedere. Si voltò lentamente, poi, verso la provenienza della persona che aveva pronunciato quelle parole crude.

«Scusami, papà. Mi preparo subito» .

Rispose lei, cercando di rimanere il più calma possibile.

L’uomo fece un cenno col capo, rinchiudendosi la porta alle spalle, più gentilmente di come l’avesse aperta. Annabelle, come avesse trattenuto per ore il fiato sott’acqua, rilasciò un sospiro pesante, annaspando disperatamente in cerca di ossigeno.

Spense la sveglia e rimase qualche minuto bloccata in quella posizione, continuando a fissare il muro. Non appena si sentì pronta ad abbandonare il calore delle lenzuola, si alzò e si diresse verso l’armadio.

Perse una decina di minuti a rovistare in cerca di qualcosa di decente da dover indossare e, non appena li trovò, si affrettò a prepararsi. Indossò una tuta semplice, nera, e le sue vecchie, vecchissime scarpe bianche, ormai non più così bianche. Si mise lo zaino e si diresse al bagno.

Una volta dentro, si posizionò davanti allo specchio e si legò i capelli corvini in una coda alta, facendo l’errore, poi, di guardare troppo la sua immagine riflessa.

Annabelle odiava se stessa, ciò che era, com’era. E nessuno dimenticava di ricordarglielo ogni giorno.

Soprattutto le persone che avrebbe visto da lì a poco.

Una lacrima sfuggì al suo controllo, scese lungo la guancia e le rigò pesantemente il viso. Un misto di frustrazione e dolore si fece spazio in lei, e una violentissima, velenosa morsa le circondò lo stomaco. Più forte dei giorni precedenti. Più imponente.

Cercò di ignorarla e, sospirando pesantemente, si ricompose. Indossò la sua maschera fatta di falsità e speranza e si diresse in cucina.

Lì, ad attenderla, c’era sua madre: una donna distrutta, fisicamente e mentalmente, avvolta ogni giorno da una vecchia coperta blu. Ella le sorrise e le porse il piatto con la sua colazione.

Annabelle ricambiò il sorriso, addentò una fetta di pane, bevve un sorso d’acqua e si diresse fuori, al balcone, per prendere il malconcio giubbino verde che era lì a prendere aria fresca.

Si accorse che suo padre era lì, di spalle, a fumare una sigaretta. Sempre con il suo aspetto cupo e fermo, con lo sguardo nel vuoto.

Annabelle deglutì, prese il giubbino e toccò la spalla del padre per salutarlo. Era tutto così automatico. Robotico.

«Papà, i-io ho finito. Vado a scuola» .

Egli stette in silenzio per secondi che sembravano interminabili.

Poi un colpo di tosse la fece sobbalzare, ed eccole lì: le parole più fredde che potesse ricevere da qualcuno di così vicino.

«Ok. Muoviti, è tardi».

La ragazza annuì debolmente e si diresse lentamente verso quella grande, malandata struttura arancione.

Passo dopo passo, ad Annabelle mancava il respiro. Sudava. Tremava.

Non voleva proprio entrarci, lì.

Senza rendersene conto, si ritrovò al cancello.

Ma non fece neanche in tempo ad attraversarlo, che qualcuno… o meglio, qualcosa… le cadde violentemente addosso.