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Giubileo 2025 – Il Santuario della Madonna della speranza
Giubileo 2025 – Il Santuario della Madonna della speranza
Maria D’Ercole, donna devota di Giuliano di Campagna, il 29 marzo 1755, Sabato Santo, al ritorno dai campi si inginocchiò davanti all’edicola con l’icona della Madonna della Speranza, nella contrada detta “Cona dei Vènti”. Mentre pregava per la guarigione di un uomo ammalato, sentì una voce provenire dall’icona: era la Vergine Maria che la invitava a recarsi dal parroco per chiedergli di costruire un tempio in suo onore proprio in quel luogo.
Maria si recò dall’arciprete Giovanni Fedele, che inizialmente non le credette. Il giorno seguente, giorno di Pasqua, la Vergine le parlò nuovamente, rinnovando la richiesta e aggiungendo di ricordare a Pietro Antonio Bonelli la promessa fatta. Quando il Parroco interrogò Bonelli, questi, sorpreso, confessò di aver promesso 10 scudi alla Vergine se fosse scampato a morte certa. Di fronte a tale testimonianza, il Parroco convocò il popolo e si organizzò una processione alla Cona dei Vènti.
Cominciarono così ad accorrere numerosi fedeli e furono registrati molti miracoli: guarigioni di ciechi, sordi, storpi, infermi. Don Gregorio Berardi ne documentò più di cento tra aprile e giugno 1755. Le offerte furono abbondanti e gli ex voto numerosi: oggetti in oro, argento, corallo, e persino una collana di denti di lupo incapsulati. Le donazioni raggiunsero 756 scudi in pochi mesi.
Una xilografia di Giuseppe Antonio Bedotti, “santaro” piemontese, riprodusse l’immagine miracolosa nel 1755. La lastra, su cui compaiono le iniziali “G.A.B.P.”, fu utilizzata per stampare immaginette devozionali. Bedotti chiese al Vescovo la privativa per la vendita delle stampe in rame e in legno, offrendone un certo numero gratuitamente per tre risme di carta. L’affresco originale, di probabile datazione quattrocentesca, è stato restaurato nel XIX secolo dal P. Giovanni Spillman, che intervenne su alcune parti danneggiate dagli ex voto.
Sorse un acceso dibattito sull’ubicazione del nuovo tempio: il popolo lo voleva sulla Cona dei Vènti, mentre il Capitolo della Collegiata proponeva di trasportare l’affresco nel centro del paese. Prevalse il volere popolare e la prima pietra fu benedetta dal vescovo Tosi. I lavori durarono sette anni e la consacrazione avvenne il 20 giugno 1762, grazie anche al lavoro gratuito dei cittadini.
Un miracolo notevole si verificò nel 1850: Cataldo Coretti, caduto da cavallo e in fin di vita, guarì miracolosamente dopo una messa celebrata in suo favore al santuario. Raccontò di aver visto la Madonna, che lo salvò dall’attacco di “nemici infernali”.
Il santuario fu curato inizialmente da eremiti e clero locale. I Liguorini rifiutarono l’incarico per mancanza di fondi. Nel 1846 arrivarono i Gesuiti da Ferentino, che contribuirono anche all’insegnamento e alla vita religiosa del paese. L’architetto Andrea Busiri Vici, su impulso di P. Ciccolini e del marchese Cavalletti, progettò gratuitamente un ampliamento, includendo una casa per esercizi spirituali. I lavori, iniziati nel 1850, terminarono nel 1872.
Durante la Seconda guerra mondiale, il santuario fu colpito da bombardamenti. Una bomba caduta il 23 maggio 1944 non esplose, salvando la vita a oltre 50 persone rifugiate all’interno. Il bombardamento del 29 maggio arrecò danni gravi, ma l’affresco rimase miracolosamente illeso.
Dal 1955 al 1967 la custodia fu affidata ai Fratelli di San Gabriele, poi agli Agostiniani Scalzi fino ai primi anni Duemila. Oggi il convento ospita un Centro Diurno Alzheimer, mentre la chiesa è officiata dal clero diocesano, che ogni 21 ottobre celebra la festa della Madonna della Speranza.
Il santuario sorge su un promontorio roccioso che domina la Valle dell’Amaseno, circondato da uliveti e protetto dai Monti Lepini. “Quando intorno c’è silenzio e dal Monte Siserno cala il vento… il Santuario è vivo ed animato… nel silenzio del tempio i fedeli ritrovano pace e forza” (Mons. Michele Federici, Avvenire, 1980).
[Per approfondimenti: Biancamaria Valeri, “Il santuario della Madonna della Speranza. Oasi di contemplazione tra le Valli del Sacco e dell’Amaseno”, Lunario Romano, 1992]
Maria D’Ercole, donna devota di Giuliano di Campagna, il 29 marzo 1755, Sabato Santo, al ritorno dai campi si inginocchiò davanti all’edicola con l’icona della Madonna della Speranza, nella contrada detta “Cona dei Vènti”. Mentre pregava per la guarigione di un uomo ammalato, sentì una voce provenire dall’icona: era la Vergine Maria che la invitava a recarsi dal parroco per chiedergli di costruire un tempio in suo onore proprio in quel luogo.
Maria si recò dall’arciprete Giovanni Fedele, che inizialmente non le credette. Il giorno seguente, giorno di Pasqua, la Vergine le parlò nuovamente, rinnovando la richiesta e aggiungendo di ricordare a Pietro Antonio Bonelli la promessa fatta. Quando il Parroco interrogò Bonelli, questi, sorpreso, confessò di aver promesso 10 scudi alla Vergine se fosse scampato a morte certa. Di fronte a tale testimonianza, il Parroco convocò il popolo e si organizzò una processione alla Cona dei Vènti.
Cominciarono così ad accorrere numerosi fedeli e furono registrati molti miracoli: guarigioni di ciechi, sordi, storpi, infermi. Don Gregorio Berardi ne documentò più di cento tra aprile e giugno 1755. Le offerte furono abbondanti e gli ex voto numerosi: oggetti in oro, argento, corallo, e persino una collana di denti di lupo incapsulati. Le donazioni raggiunsero 756 scudi in pochi mesi.
Una xilografia di Giuseppe Antonio Bedotti, “santaro” piemontese, riprodusse l’immagine miracolosa nel 1755. La lastra, su cui compaiono le iniziali “G.A.B.P.”, fu utilizzata per stampare immaginette devozionali. Bedotti chiese al Vescovo la privativa per la vendita delle stampe in rame e in legno, offrendone un certo numero gratuitamente per tre risme di carta. L’affresco originale, di probabile datazione quattrocentesca, è stato restaurato nel XIX secolo dal P. Giovanni Spillman, che intervenne su alcune parti danneggiate dagli ex voto.
Sorse un acceso dibattito sull’ubicazione del nuovo tempio: il popolo lo voleva sulla Cona dei Vènti, mentre il Capitolo della Collegiata proponeva di trasportare l’affresco nel centro del paese. Prevalse il volere popolare e la prima pietra fu benedetta dal vescovo Tosi. I lavori durarono sette anni e la consacrazione avvenne il 20 giugno 1762, grazie anche al lavoro gratuito dei cittadini.
Un miracolo notevole si verificò nel 1850: Cataldo Coretti, caduto da cavallo e in fin di vita, guarì miracolosamente dopo una messa celebrata in suo favore al santuario. Raccontò di aver visto la Madonna, che lo salvò dall’attacco di “nemici infernali”.
Il santuario fu curato inizialmente da eremiti e clero locale. I Liguorini rifiutarono l’incarico per mancanza di fondi. Nel 1846 arrivarono i Gesuiti da Ferentino, che contribuirono anche all’insegnamento e alla vita religiosa del paese. L’architetto Andrea Busiri Vici, su impulso di P. Ciccolini e del marchese Cavalletti, progettò gratuitamente un ampliamento, includendo una casa per esercizi spirituali. I lavori, iniziati nel 1850, terminarono nel 1872.
Durante la Seconda guerra mondiale, il santuario fu colpito da bombardamenti. Una bomba caduta il 23 maggio 1944 non esplose, salvando la vita a oltre 50 persone rifugiate all’interno. Il bombardamento del 29 maggio arrecò danni gravi, ma l’affresco rimase miracolosamente illeso.
Dal 1955 al 1967 la custodia fu affidata ai Fratelli di San Gabriele, poi agli Agostiniani Scalzi fino ai primi anni Duemila. Oggi il convento ospita un Centro Diurno Alzheimer, mentre la chiesa è officiata dal clero diocesano, che ogni 21 ottobre celebra la festa della Madonna della Speranza.
Il santuario sorge su un promontorio roccioso che domina la Valle dell’Amaseno, circondato da uliveti e protetto dai Monti Lepini. “Quando intorno c’è silenzio e dal Monte Siserno cala il vento… il Santuario è vivo ed animato… nel silenzio del tempio i fedeli ritrovano pace e forza” (Mons. Michele Federici, Avvenire, 1980).
[Per approfondimenti: Biancamaria Valeri, “Il santuario della Madonna della Speranza. Oasi di contemplazione tra le Valli del Sacco e dell’Amaseno”, Lunario Romano, 1992]
Il testo integrale di Biancamaria Valeri si trova dentro gli ITINERARI