Chi vi dice di non votare, usa il quorum per rubarvi la voce

Un editoriale diretto sul referendum, il quorum, il voto e la cittadinanza: chi diserta la democrazia non la merita. E non tutti dovrebbero avere il passaporto.

Chi vi dice di non votare, usa il quorum per rubarvi la voce

Il referendum è l’unico strumento dove serve il quorum. Ma chi vi chiede di disertarlo, non difende la democrazia. La indebolisce.

Chi vi dice di non votare, usa il quorum per rubarvi la voce

Il diritto di voto è sacro. Ma il modo in cui lo onoriamo racconta chi siamo davvero.

C’è un’Italia che ogni giorno lavora, studia, sogna, cresce.
Un’Italia silenziosa, onesta, che spesso non fa notizia.
Poi c’è quella che urla, che diserta, che vive di scorciatoie e favori.
E in mezzo ci siamo noi, con la responsabilità di scegliere. E di esserci.

Questo fine settimana si vota per un referendum.
E come sempre, qualcuno prova a convincerci a non andare.
A restare a casa. A lasciare che siano gli altri a decidere per noi.
Ma la verità è semplice:
che tu voti sì o che tu voti no, quello che conta è votare.

Perché il referendum è l’unico strumento democratico in cui esiste ancora il quorum.
Una stranezza tutta italiana: alle politiche non serve raggiungere un numero minimo di votanti per convalidare il risultato. Qui sì.
Ed è una trappola. Un furto. Un ladrocinio mascherato da regola.

Non fatevi ingannare da chi vi dice che non serve.
Chi vi invita a non votare vi sta chiedendo, in fondo, di rinunciare a un diritto che è anche un dovere.
E spesso lo fa non per convinzione, ma per convenienza.
Perché spiegare le proprie idee, motivare un sì o un no, argomentare con onestà… richiede fatica.
Molto meglio semplificare tutto, parlare “alla pancia”, e dire al popolo che tanto è inutile.
Così non serve confrontarsi, non serve lavorare, non serve rischiare.
Questi sono i nostri politici.
Come cantava una vecchia canzone popolare romana, resa celebre da Gabriella Ferri:
“L’Italia? È la società dei magnaccioni.”
Un ritornello amaro che oggi suona più attuale che mai.

Ma per difendere un diritto, bisogna anche saperne essere degni.
E allora lasciatemi dire una cosa che forse brucia, ma che va detta:
nascere in Italia non basta per essere italiani.
Essere cittadini significa dimostrarlo con i fatti. Ogni giorno.

Viviamo in un Paese dove il merito è un optional, e la raccomandazione una regola non scritta.
Dove chi ha gli amici giusti vola, e chi ha talento spesso resta indietro.
Dove il potere si autoregola, la corruzione si nasconde nei palazzi, e la politica diventa spettacolo invece che servizio.
C’è chi si arricchisce con i voti degli ingenui, chi vive sui social a colpi di slogan e offese, chi trasforma il populismo in professione.
E intanto, il Paese reale arranca.

Serve rispetto. Serve coscienza. Serve educazione.

Vale per chi arriva da lontano, da altri Paesi, da altre culture.
Chi entra in Italia come ospite ha il dovere di comportarsi con rispetto.
Non basta chiedere diritti: bisogna mostrare educazione, voglia di integrarsi, adesione ai valori di chi ti accoglie.
In casa d’altri – dicevano i nostri genitori – ci si comporta meglio che a casa propria. Sempre.

Ma sia chiaro: questo vale anche, e forse di più, per chi in Italia c’è nato.
Perché ci sono italiani, figli di italiani da generazioni, che non onorano minimamente il Paese in cui vivono.
Persone che si sentono “italiani per diritto” ma che vivono senza alcun senso civico, senza rispetto, senza dignità.
E tra questi, diciamolo senza timore, ci sono anche politici che dovrebbero restituire il passaporto.
Perché chi tradisce i principi fondamentali della Costituzione, chi vive di privilegi senza merito, chi alimenta ignoranza e odio, non rappresenta l’Italia. La danneggia.

Ecco perché oggi, più che mai, serve andare a votare.
Non per protesta. Non per abitudine.
Ma per costruire.

Perché il futuro non si eredita. Si merita.
E il voto è ancora, nonostante tutto, la nostra voce più forte.