Sinner e Alcaraz il rispetto prima del punto

Carlos Alcaraz dichiara di non aver chiamato Jannik Sinner durante il caso Clostebol, affermando di non essere suo amico perché rivali. In questo mio editoriale si riflette sul significato profondo dello sport, tra rispetto umano e rivalità, citando l'esempio di Nadal e Federer. Un messaggio forte sul valore dell’umanità, al di là della competizione.

Sinner e Alcaraz: il rispetto prima del punto

Sinner e Alcaraz: il rispetto prima del punto

Editoriale di Alfio Mirone

C’è una partita che si gioca fuori dal campo. Non ha arbitri né racchette, ma si vince — o si perde — con il cuore.
Carlos Alcaraz, campione dal talento cristallino, ha appena perso quella partita. E non contro Sinner, ma contro se stesso.

Nel momento più difficile per il tennista italiano, travolto da accuse pesanti e infondate, Alcaraz ha dichiarato pubblicamente di non averlo chiamato. La motivazione?
“Non siamo amici. Siamo rivali.”

Ora, c’è da chiedersi: quando è diventato lecito separare lo sport dall’umanità?

Il rispetto, Carlos, non si gioca a colpi di diritto. Non servono inviti a cena o vacanze insieme per mostrare di essere uomini prima che atleti. Bastava una parola, un messaggio. Un gesto.
Hai perso un’occasione rara: quella di essere ricordato non solo per i trofei, ma per la tua coscienza.

Tanto di cappello al tuo tennis. Ma oggi ti sei seduto sulla panchina sbagliata della storia: quella del gelo, dell’indifferenza.
Quella di chi assomiglia più a una multinazionale pronta a stritolare il concorrente che a un giovane uomo cresciuto con il sogno del campo da gioco.
Eppure un tuo connazionale, Rafael Nadal, aveva già tracciato la strada, con l’eleganza dei giganti.
Con Federer erano “rivali”, eppure si sono rispettati come fratelli. Si sono abbracciati alla fine di ogni battaglia, perché c’è un tempo per colpire forte e un tempo per tendere la mano.

Hai detto: “Siamo rivali”.
Ma lo sport non è guerra.
Lo sport è bellezza, confronto, caduta e risalita. È un teatro dove l’uomo mostra il meglio di sé.
E oggi, a Roma, non c’è bisogno di alzare un trofeo per vedere chi ha vinto davvero.
Il pubblico lo sa.
E la storia pure.

Sinner, con il suo silenzio elegante e la forza di chi affronta le tempeste senza clamore, ha vinto la partita che conta.
Quella della dignità.

E tu, Carlos, hai perso qualcosa che i trofei non potranno restituirti:
l’occasione di essere ricordato come un uomo, non solo come un tennista.

E ora vinca il migliore. Perché stasera si gioca una finale di sport, non una guerra.
Il campo è il luogo del talento, ma anche del rispetto.
E il vero sport insegna questo. Sempre.