Le Gratitudini” al Teatro Parioli – Una parola che salva

In questo editoriale parlo di teatro e gratitudine, attraverso uno spettacolo che commuove e fa riflettere sul valore umano, la memoria e la solidarietà.

Le Gratitudini” al Teatro Parioli – Una parola che salva

Le Gratitudini” al Teatro Parioli – Una parola che salva

di Alfio Mirone
Raccontatore teatrale

Ci sono spettacoli che non si dimenticano. Non perché lascino immagini spettacolari o finali eclatanti. Ma perché sussurrano verità. Perché restano dentro. Come la parola grazie, che a teatro, sabato scorso, ha brillato di una luce malinconica e urgente. Al Teatro Parioli, Paolo Triestino mette in scena con sensibilità Le Gratitudini, firmandone regia e adattamento, tratto dal romanzo delicato e profondo di Delphine de Vigan. Con lui in scena, Lucia Vasini — intensa, struggente, vera. Una donna anziana, una voce che trema, una memoria che sfugge. E una parola da dire, prima che sia troppo tardi.

La scena è essenziale. I silenzi fanno rumore. La commozione arriva piano, come una carezza. E la protagonista, un tempo correttrice di bozze, ora vive l’ultimo tratto della sua esistenza in una residenza sanitaria, dove le parole cominciano a diventare ostili. Ma c’è un grazie che non può più aspettare: quello da rivolgere a chi l’ha salvata durante la persecuzione nazista, quando era solo una bambina.

Seduto in platea, mentre assistevo a questo piccolo capolavoro di intimità teatrale, pensavo all’abbandono della fragilità. Alla solitudine degli anziani, oggi, in un tempo in cui la sanità pubblica li tratta spesso come numeri. Pensavo a quanto sia difficile — eppure essenziale — dire grazie. Essere grati. Sentire la gratitudine come forma di resistenza all’indifferenza.

Le Gratitudini” al Teatro Parioli – Una parola che salva
Le Gratitudini” al Teatro Parioli – Una parola che salva

E mentre Michka cercava le sue parole perdute, ho sentito nel petto un’eco più grande. Un pensiero che mi ha trafitto. Proprio quel popolo che da 80 anni il mondo intero difende per non dimenticare l’orrore — il popolo ebraico, sopravvissuto ai lager, alla disumanità, alla Shoah — oggi sembra aver smarrito la memoria della propria stessa ferita. Con Netanyahu e il suo governo, Israele dimentica il significato di “gratitudine universale“, lasciando che la vendetta si trasformi in sterminio, che la forza cancelli il confine tra giustizia e crudeltà. È un pensiero scomodo, lo so. Ma ieri sera, guardando quell’anziana donna, fragile e coraggiosa, ho sentito che dovevo lasciarlo emergere. Perché non si può dire “mai più” a metà.

Questo spettacolo, invece, ce lo ricorda interamente. Con pudore. Con amore. Le Gratitudini è un inno a chi resta. A chi accompagna. A chi non dimentica. È un elogio silenzioso a coloro che, nei momenti più duri della vita, ci hanno teso una mano. Ed è un invito urgente, in questi tempi distratti, a non vergognarsi di dire grazie. A dirlo ora, a dirlo bene, a dirlo sempre.

Perché la gratitudine è una forma di umanità.
E l’umanità, se non la si coltiva, muore.