The Best Fluffy Pancakes recipe you will fall in love with. Full of tips and tricks to help you make the best pancakes.
Cattedre di guerra
Cattedre di guerra
Editoriale di Alfio Mirone
25 aprile.
C’è una data che più di ogni altra ci ricorda chi siamo.
Un giorno che parla di libertà, riscatto, dignità riconquistata.
Un giorno che ha segnato l’inizio di una democrazia che non è mai stata scontata.
E proprio per questo, ogni anno, dovrebbe ricordarci quanto sia fragile, e quanto vada custodita.
Oggi celebriamo quella liberazione.
Eppure, da qualche tempo, si avverte nell’aria una strana direzione, quasi un’inversione di marcia, come se la memoria fosse diventata un ostacolo e non più un valore da tramandare.
C’è chi, in nome della sicurezza, sta spostando l’orizzonte.
Chi confonde la difesa con l’addestramento.
E chi, forse senza rendersene conto, sta preparando il futuro con schemi del passato.
Nei luoghi dove nasceva il pensiero libero
C’eravamo tanto amati con l’idea di un’Europa nata per garantire la pace.
Un sogno costruito sulle rovine della guerra, nato dal bisogno di dire mai più.
Poi, all’improvviso, qualcosa si incrina.
Arriva qualcuno che non ce la fa proprio a immaginare un mondo in cui i conflitti si risolvono con le parole, e comincia — di nuovo — a bombardare a destra e a manca, a parlare di sicurezza come sinonimo di forza, a confondere la difesa con l’addestramento all’offesa.
E così eccoci qui:
l’Europa, quella che doveva unire i popoli, oggi decide di insegnare la guerra ai giovani.
Con l’Articolo 164, il Parlamento Europeo propone l’introduzione nei programmi universitari di corsi legati alla formazione militare: esercitazioni, giochi di ruolo bellici, strategie difensive, attività coordinate con le forze armate.
Un’educazione alla guerra camuffata da innovazione e difesa comune.
Siamo davvero sicuri che questa sia la strada?
Nel momento storico in cui più che mai abbiamo bisogno di una nuova cultura della pace, stiamo preparando i banchi per formare nuovi ufficiali.
Non nei centri di addestramento, ma nelle università, là dove dovrebbe crescere il pensiero critico, la libertà di scelta, la costruzione di un futuro diverso.
Sembra una brutta imitazione di ciò che già avviene in Israele, dove la cultura militare è parte del tessuto civile. Ma siamo sicuri di voler andare in quella direzione?
Sono tornati i tempi delle conquiste?
O è solo il potere economico delle multinazionali delle armi che impone la sua rotta a un’Europa ormai svuotata della sua anima originaria?
È davvero questo che vogliamo insegnare ai nostri ragazzi?
Che l’unico modo per esistere è armarsi?
Che la guerra è un mestiere da inserire nei curricula accademici?
La verità è che la pace non ha sponsor potenti, né lobbisti nei corridoi delle istituzioni.
Non alimenta mercati, non genera utili trimestrali.
Ma è ciò che ci distingue da ciò che siamo stati.
Abbiamo costruito l’Europa per dire basta.
Non per tornare indietro di decenni, come se Hiroshima e Sarajevo non ci avessero insegnato nulla.
La guerra è una sconfitta.
E quando si insegna a farla, si smette di sognare un mondo in cui valga la pena vivere.