Bella ciao, sotto le bombe

Dopo aver visto un video di bambini a Gaza che cantano Bella ciao, l’editoriale cambia direzione: una riflessione toccante sulla guerra, sull’ipocrisia del mondo e sul diritto all’infanzia e alla pace.

Bella ciao, sotto le bombe

 

Bella ciao, sotto le bombe

Editoriale di Alfio Mirone

Questa mattina avrei dovuto scrivere tutt’altro.
Avrei dovuto parlare di Ungheria, di Orbán, del nuovo autoritarismo che sta riscrivendo le leggi contro la libertà.
Ma poi ho visto un video.
Un gruppo di bambini, in un campo profughi a Gaza, che cantano Bella ciao in un italiano dolcissimo, tra le tende e la polvere.
E in quel momento qualcosa è cambiato.

Ho pensato che no, oggi non posso scrivere d’altro.
Oggi non parlerò di nuovi dittatori, ma di bambini che resistono con un canto.
Di infanzie rubate sotto il cielo di Gaza, dove la guerra non lascia tregua, e dove la voce dei piccoli diventa, paradossalmente, il grido più forte che abbiamo.

Cantano in un italiano quasi perfetto.
Cantano Bella ciao, quei bambini, seduti a terra tra tende logore e sorrisi spezzati.
Lo fanno nei campi profughi di Gaza, dove non esistono più scuole, ospedali, parchi, sogni.
Lo fanno senza sapere, forse, che quel canto — nato dalla Resistenza italiana — oggi risuona come un inno alla dignità di chi non ha più nulla da perdere, se non la vita.

Mi domando perché tutto questo.
Perché un popolo come quello palestinese, oggi, non abbia nemmeno il diritto di difendersi, di alzare la testa, di raccontare al mondo cosa significa vivere — o morire — sotto le bombe.
Con quale diritto, umano o divino, Israele può agire con questa violenza così prolungata, così sistematica, così impunita?

Gli ospedali sono stati rasi al suolo.
Gli aiuti umanitari vengono bloccati, rallentati, ostacolati.
La popolazione civile è alla fame, alla sete, al collasso.
E il mondo?
Il mondo guarda, parla, commenta. Ma non agisce.
Le parole si sprecano. I fatti no.

La Russia, per i suoi crimini, è stata giustamente isolata, condannata, sanzionata.
Ma quando è Israele a colpire, tutto si fa più sfocato, più prudente, più ambiguo.
Si parla di “diritto alla difesa”, ma si dimentica il diritto a vivere.

Perché questa differenza?
Perché due pesi e due misure?
È una domanda scomoda. Eppure va fatta.
Conta il potere economico, conta il peso della finanza, conta la paura di toccare chi detiene il potere più invisibile, ma più influente.
E se questa paura frena la condanna, allora la giustizia non è più giustizia. È solo convenienza.

Quel video — quei bambini che cantano “Bella ciao” — non è folklore.
È una denuncia.
È la prova che anche sotto le macerie si può resistere con un canto.
Ma non si può vivere solo di simboli, se nessuno protegge i corpi.

Serve uno scatto di umanità.
Serve che chi ha voce la usi davvero, senza timori, senza calcoli, senza equidistanze vuote.

Perché la guerra è guerra ovunque, ma la pace è un dovere che vale sempre, non solo quando conviene.

Video di Bella Ciao cantata dai bambini a Gaza
Video di Bella Ciao cantata dai bambini a Gaza