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La chiesa di S. Agata a Ferentino
La chiesa di S. Agata a Ferentino
Nella chiesa Ferentinate di S. Agata si custodisce una meravigliosa tela che raffigura S. Agata e S. Francesco d’Assisi ai piedi di Maria che tiene sulle sue ginocchia il divin Bambino. Il dipinto celebra i titolari della chiesa, raffigurati secondo lo schema piramidale, tipico del genere devozionale. S. Agata, a sinistra della tela, mostra alla Madonna in trono i simboli del suo atroce martirio: per la sua fedeltà a Cristo le furono strappati i seni. Sul lato destro della tela S. Francesco d’Assisi si riconosce per il suo saio e per le stimmate ricevute sulla Verna. Francesco d’Assisi, in atteggiamento orante e in ginocchio, china umilmente il capo e con le braccia aperte mostra i segni delle stimmate sulle sue mani, invitando l’osservatore a guardare anche il teschio e il libro del Vangelo aperto, ambedue poggiati a terra. Questi ultimi attributi iconografici insieme alle stimmate sono il segno della spiritualità francescana, il cui fondamento è la continua meditazione sulla passione, morte e resurrezione di Cristo. Nella parte superiore della tela è raffigurata la Madonna, fiancheggiata da angeli e seduta su un trono di nuvole. Gesù bambino, sulle ginocchia della Mamma, con la croce astile trafigge il serpente, che indusse i progenitori, Adamo ed Eva, a disobbedire al Creatore, mangiando del frutto dell’albero del Bene e del Male; il serpente demoniaco stringe tra le fauci una mela ed è calpestato dal piede sinistro dell’Immacolata.
Seguaci di Cristo, Agata e Francesco accettarono il martirio: per non aver tradito la fede, la martire Agata; per aver vissuto in povertà, nella donazione totale di sé al prossimo e alla Chiesa, nella contemplazione e realizzazione del principio PAX ET BONUM in ogni momento dell’esistenza ed in ogni situazione e condizione, Francesco d’Assisi. E Francesco ebbe anche sulla terra la gloria promessa da Cristo: immedesimato in Lui, ebbe il dono di portare in sé le Sue stimmate, associato alla Passione per amore dell’Uomo e della sua salvezza. La presenza di Francesco nella tela testimonia anche la storia della chiesa di S. Agata, che nel 1617 passò ai Francescani OFM per invito pressante del neo vescovo di Ferentino Ennio Filonardi (1612-1644), avanzato già nel 1613.
Tradizionalmente la tela è stata attribuita a un seguace di Carlo Maratta. È di tale parere Maria Teresa Valeri (in: Maria Teresa Valeri, Ferentino, Leone Editore Monza, 2019, p. 186), considerando il fatto che il dipinto a olio, pregevole per fattura, venne collocato sull’altare maggiore dopo la sostituzione del Crocifisso ligneo di Fra’ Vincenzo Pietrosanti da Bassiano e successivamente alla ricostruzione della chiesa romanica, avvenuta tra 1755 e 1770 all’epoca del vescovo di Pietro Paolo Tosi. L’opera è stata attribuita alla scuola di Carlo Maratta anche da Emma Caniglia Mola in Appunti ed osservazioni dalla catalogazione dei beni storico-artistici di Ferentino (in: Latium, 10 – 1993, pp. 283-284); ed è stata restaurata nell’autunno del 2015 dal M° Rossano Pizzinelli, senza che si rinvenisse alcuna firma dell’autore.
La tela che orna ancora oggi l’altare maggiore di S. Agata è, invece, opera di Gaetano Lapis del quale è molto facile dedurre la paternità, considerando il periodo in cui tale tela fu collocata sull’altare maggiore, intorno al 1770 (cfr.: Padre Bonaventura Morosini da Ferentino M.O., Notizie sul Convento e la Chiesa di S. Agata V.M. in Ferentino, manoscritto composto da 28 pagine,1897) e la presenza in Ferentino del vescovo Pietro Paolo Tosi, nativo di Belvedere Ostrense della diocesi di Senigallia (Eubel, Hierarchia Catholica, VI volume), anche lui marchigiano come Gaetano Lapis. Sono fondamentali per l’attribuzione della tela di S. Agata a Gaetano Lapis rimandi e confronti con altre opere di tale artista, realizzate nel periodo settecentesco e conservate in chiese e conventi francescani nelle Marche e a Roma. Ho approfondito la questione con il prof. Luca Calenne, riuscendo a giungere alla conclusione che la pala d’altare in S. Agata è opera di Gaetano Lapis, detto “il Carraccetto”, nato a Cagli il 13 agosto 1706 e morto a Roma nell’aprile 1773.
Gaetano Francesco Leone Lapis, figlio di Filippo e Olimpia Orlandini di Cantiano, nacque a Cagli nel 1706 in un’agiata famiglia di commercianti di lana di origine veneta. Giovanissimo si recò a Roma dapprima, per poco tempo, presso il modesto pittore Cristoforo Creo e poco dopo nell’importante bottega di Sebastiano Conca (Gaeta, l680-ivi, 1764). Pur essendo considerato uno dei migliori allievi del Conca, il Lapis espresse tuttavia una personalità autonoma manifestando, fin dai primi saggi, vivo interesse verso il “classicismo”, che studiò riallacciandosi alle fonti secentesche. Fondamentale fu soprattutto la frequentazione dei grandi del secolo precedente con particolare riferimento ai maestri emiliani quali: Carracci, Reni, Domenichino. Tanto costante era lo studio di questi ultimi che il pittore venne soprannominato, dagli stessi compagni di bottega, “il Carraccetto”. I Grandi della pittura emiliana del Seicento furono riletti dal Lapis, durante il suo percorso artistico, unitamente ai modelli e composizioni derivati dai Conca, affiancati dalla rilettura proposta a Roma dal composto classicismo marattesco. Il linguaggio pittorico del Lapis rimase sostanzialmente immutato durante tutto l’arco della sua attività: tratto preciso, acutezza del disegno e della composizione, particolare cromia delle sue opere, fatta di accostamenti arditi e colori forti e vivaci che oggi, dopo l’ampia campagna di restauri promossa nella città di Cagli, può essere considerata uno dei pregi della sua pittura. (in: LAPIS, Gaetano di Francesco Leone, Dizionario Biografico degli Italiani, cit.)
Venendo all’esame della maestosa pala d’altare sita nella chiesa di S. Agata di Ferentino, questa riporta chiaramente a un’altra opera di Gaetano Lapis realizzata alla metà del XVIII secolo: La Vergine in trono tra S. Luigi di Francia e Santa Elisabetta d’Ungheria, realizzata dall’Artista per la Chiesa di S. Giacomo apostolo in Colle Luce a Cingoli, tuttora ivi conservata.
In tale tela l’Immacolata, orante e seduta sul trono di nuvole, circondata da puttini festanti e con i piedi poggiati sulla falce di luna, è collocata al centro di una struttura piramidale. Maria è vivace e coloratissima, come imposto dalla cromia di luce e dai toni forti e sgargianti; con tanta benevolenza osserva S. Luigi di Francia, protettore dei fratelli dell’Ordine francescano secolare, e S. Elisabetta d’Ungheria, protettrice delle sorelle dell’Ordine francescano secolare, che in ginocchio implorano la celeste sua benedizione. Caratteristici di Lapis sono i colori splendidi, quasi esuberanti e sempre regali. La tela di Cingoli è perfettamente sovrapponibile a quella ammirata in S. Agata di Ferentino per la medesima impostazione scenografica, per i colori luminosi e caldi, quasi celestiali, per la compostezza della scena, per il forte sentimento di devozione che suggerisce al fruitore.
(per ulteriori notizie cfr.: Biancamaria Valeri, Chiesa di S. Agata. Arte tra 1700 e 1800 in Ferentino, Susil, 2025)