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La Fermentazione, chiave di sopravvivenza nella preistoria
La Fermentazione, chiave di sopravvivenza nella preistoria
La fermentazione, chiave di sopravvivenza nella preistoria, ha giocato un ruolo cruciale per la sopravvivenza umana trasformando il nostro rapporto con il cibo in momenti decisivi della storia tanto da poter essere definita una vera e propria rivoluzione nutrizionale.
Con questo articolo desidero fare un salto nel tempo per esplorare l’importanza che ha avuto la fermentazione durante il Neolitico, un periodo di svolta in cui l’adattamento alimentare si rivelò determinante per l’evoluzione dell’uomo.
Dal Paleotitico al Neolitico
Durante questo snodo determinante della preistoria, due trasformazioni fondamentali hanno plasmato l’evoluzione alimentare dell’umanità: da un lato l’introduzione massiccia di alcuni alimenti spesso difficili da metabolizzare o persino tossici a cui l’uomo dovette adattarsi; dall’altro lato produrre cibo su larga scala richiese lo sviluppo di avanzate tecniche di conservazione. In risposta a queste sfide la fermentazione fu una soluzione straordinariamente efficiente.
Miglioramento della digeribilità e della biodisponibilità
Il passaggio dalla vita di cacciatori-raccoglitori a quella di allevatori-coltivatori comportò il consumo di tanti alimenti un tempo marginali nella dieta umana, come il latte, numerosi cereali, tuberi e legumi. Nonostante la loro ricchezza nutrizionale, questi alimenti risultavano per quell’epoca difficili da digerire o di scarso valore nutritivo perché contenevano numerose sostanze che ne complicavano l’assimilazione o ne ostacolavano la digestione. La fermentazione fu una soluzione brillante per rispondere a queste problematiche nutrizionali, migliorando sia la digeribilità sia la biodisponiblità dei nutrimenti attraverso una sorta di predigestione e detossificazione.
I nostri antenati, infatti, non erano in grado di digerire il lattosio da adulti e la produzione di yogurt o formaggio si rivelò un metodo efficace per eliminarlo trasformandolo in zuccheri semplici facilmente assimilabili. Per quanto riguarda i cereali, prima della selezione agricola, essi contenevano quantità elevate di fitati, che si legavano a minerali essenziali come calcio, magnesio e ferro, riducendo così la loro biodisponibilità. La lievitazione del pane (con lievito madre) permise con l’azione della fitasi di degradare i fitati, rendendo i cereali primitivi maggiormente nutrientri. Allo stesso modo, il cavolo selvatico e la manioca, originariamente tossici, subirono un processo di fermentazione che ridusse significativamente il contenuto di glucosinolati, come la linamarina nella manioca e la sinigrina nel cavolo, minimizzando così il loro impatto negativo.
Tuttavia è fondamentale sottolineare che i problemi legati alla digeribilità e alla sicurezza di alcuni alimenti, che caratterizzavano la preistoria, non sussistono più oggi. Infatti, la maggior parte di noi è in grado di digerire il lattosio grazie alla persistenza dell’enzima lattasi nell’intestino degli adulti dovuto a mutazioni genetiche. Inoltre, la selezione delle specie coltivate ha ridotto drasticamente le concentrazioni di fitati, ma anche dei glucosinolati, che un tempo rendevano alcuni alimenti poco nutrienti (per i fitati) e difficili da consumare a causa del loro sapore amaro, dell’irritazione che causavano sulla mucosa gastrica e della loro capacità di ostacolare l’assorbimento di nutrienti essenziali come lo iodio (per i glucosinolati).
Va inoltre ricordato che, se la fermentazione fu una soluzione fondamentale per le sfide alimentari delle prime comunità umane, essa ha continuato a svolgere un ruolo cruciale nel corso del tempo permettendoci di accedere a determinati alimenti che oggi fanno parte integrante della nostra dieta quotidiana.
Conservazione degli alimenti
All’epoca del Neolitico, le società umane iniziarono a coltivare piante e ad allevare animali aumentando in modo significativo la disponibilità di cibo. Questo surplus alimentare rese però indispensabile adottare metodi efficaci di conservazione per evitare sprechi – impensabili in un’epoca in cui il cibo era una risorsa preziosa – e garantire riserve alimentari ricche di nutrienti durante i periodi di scarsità. In questo contesto, la fermentazione si affermò nuovamente come una risorsa preziosa, poiché i microrganismi coinvolti in questo processo creavano un ambiente acido e competitivo che ostacolava la proliferazione di batteri patogeni e muffe, proteggendo gli alimenti dal deterioramento. Ma il valore della fermentazione non si limitava alla conservazione degli alimenti, perché i microrganismi responsabili di questo processo di trasformazione garantivano anche un apporto di vitamine e di numerose sostanze bioattive di origine microbiche durante tutto l’anno. Così, prodotti fermentati come il pane a lievitazione naturale, ortaggi e latticini fermentati garantirono alle comunità l’accesso a cibi conservabili e nutrienti nel tempo.
Durante il Neolitico, un momento cosi determinante per la storia dell’umanità, la fermentazione svolse un ruolo cruciale nell’eliminare le sostanze potenzialmente tossiche, nel migliorare il profilo nutrizionale di alcuni alimenti, nel conservare le scorte alimentari essenziali nelle società agricole, ampliando le scelte alimentari e migliorando la resilienza delle comunità dell’epoca. Le intuizioni legate alla fermentazione però non solo hanno garantito la sopravvivenza e l’evoluzione delle popolazioni neolitiche, ma hanno anche gettato le basi per l’evoluzione delle diete odierne.
* L’acido fitico (o fitati) è la molecola che molte piante, in particolare legumi e cereali, utilizzano per accumulare fosforo.
Per lungo tempo è stato considerato un antinutriente da numerosi studi che evidenziavano la sua capacità di inibire l’assorbimento di alcuni minerali. Tuttavia, l’acido fitico, oltre a questa azione, svolge anche funzioni benefiche per il nostro organismo e il suo impatto nutrizionale non dovrebbe essere valutato in modo isolato ma complessivamente.